Il Principio Antropico governa il destino cosmico?
Il mondo esiste e si evolve in modo casuale o è sostenuto da una senso più profondo e l’evoluzione delle cose ha un fine? Sembrerebbe una domanda da porre ai teologi, ma negli ultimi tempi si è fatta largo tra i fisici della cosmologia e della meccanica quantistica. Così che si è arrivati ad enunciare ipotesi interpretative dell’Universo conosciuto in cui il ruolo dell’osservatore cosciente è fondamentale. Il Principio Antropico è una di queste ipotesi.
L’idea che il mondo abbia un fine e non sia il frutto del caso è antica di qualche millennio, forse ha accompagnato l’intera evoluzione storica umana. Senza andare ad indagare sui miti delle varie culture, già il platonismo e l’aristotelismo prevedevano per il mondo una causa finale, l’idea di bene in Platone e Dio per Aristotele come quell’entità che tutto muove senza commuoversi. Manca nella loro filosofia un riferimento chiaro alla creazione. Al più il mito del Demiurgo di Platone.
Questa mancanza viene colmata dalle principali religioni monoteiste, dall’Ebraismo, al Cristianesimo e all’Islam che si basano tutte sull’Antico Testamento. La cosmologia dei filosofi greci e dei teologi del medioevo cristiano vedevano la Terra al centro dell’Universo con tutte le altre sfere a girargli intorno e tale concezione sembrava anche quella più aderente alle osservazioni.
Con l’affermazione del sistema copernicano e con la successiva rivoluzione scientifica già si mise in discussione questa centralità della Terra (e di conseguenza dei suoi abitanti umani), ma nessuno scienziato/filosofo (fino all’Ottocento non c’è una vera distinzione) aveva messo in discussione almeno l’esistenza di Dio e che esistesse un ordine provvidenziale. Ma, soprattutto a partire dall’Ottocento, tutto ciò va in crisi e solo i teologi hanno continuato a sostenere un’architettura dettata dalla provvidenza divina.
Non che tutti gli scienziati o filosofi fossero atei, ma l’idea che le leggi della natura siano sostenute da un ordine superiore e fosse finalizzato a ciò, poteva essere al più oggetto di speculazioni personali che non avevano alcun valore scientifico.
Cosmologia e teoria del Big Bang
Tutto ciò può essere visto in un’ottica diversa dopo l’affermazione delle grandi teorie fisiche della Relatività e della Meccanica Quantistica, unite alla teoria dell’origine dell’Universo del Big Bang. Questa teoria sostiene che l’Universo si sia formato da un’esplosione primordiale in cui la materia e l’energia erano concentrati nello spazio di un atomo (o anche meno) e che tutto ciò che vediamo ora, atomi, molecole, stelle, pianeti, galassie o buchi neri, siano la conseguenza di questa esplosione. Tutti gli elementi che costituiscono l’Universo attuale erano in potenza in uno spazio piccolissimo assimilabile alla singolarità di un buco nero.
Senza entrare nel dettaglio di questa teoria, ci sono state delle ricerche e degli esperimenti che al momento l’hanno confermata. Quello che ci interessa è capire che uno degli ingredienti principali che caratterizzano il nostro Universo è la complessità. Questa complessità è il frutto di una lunga evoluzione che, partendo dagli atomi elementari, ha dato luogo alla formazione delle stelle, che si sono aggregate in galassie, dei pianeti e di almeno un pianeta in cui la materia si è evoluta in forme di vita. La vita, infine, si è evoluta in intelligenza e coscienza. L’Universo ha un osservatore, oppure, potremmo dire che l’Universo sta osservando se stesso.
Ma la vera domanda è, tutto ciò è il frutto del caso o c’è una sorta di disegno? Fino a alcuni decenni fa, soprattutto in ambito scientifico, questa domanda era considerata oziosa, ma ora le cose sono un po’ cambiate, soprattutto considerando che tutte le caratteristiche dell’Universo sembrano finemente sintonizzate all’evoluzione della complessità, condizione necessaria perché possa comparire l’intelligenza e l’Universo abbia un osservatore. Tutte queste caratteristiche erano in potenza nell’Universo primordiale prima dell’esplosione del Big Bang.
Le leggi della fisica potrebbero essere spiegate con una Teoria Unificata che è ancora di la da venire e da ciò potremmo avere le giuste risposte al nostro quesito: la nascita dell’Universo conteneva in potenza tutte le leggi della fisica attuali, la materia, l’energia perché si evolvesse nel modo che conosciamo? Se questa evoluzione che conosciamo e di cui siamo testimoni è necessitata dalla situazione di partenza o è una delle infinite possibili varianti, è un dato di fatto che noi ci siamo e possiamo porci questa domanda? Se andiamo ad analizzare le infinite varianti di Universi possibili scopriremo che la diversità, e la qualità di tempo perché questa diversità veda la luce, non sono per niente scontati.
La fabbrica della struttura cosmica dipende solo da alcuni numeri. Una qualunque scelta di questi numeri definisce un universo: dandoli in pasto ai nostri computer sotto forma di “condizioni iniziali” possiamo calcolare quali cambiamenti introdurrebbe la gravità (e le altre forze) nel corso dell’espansione. Solo una piccola parte di questi universi possibili condurrebbe alla formazione di stelle e galassie. […] Entro questa piccola parte cerchiamo poi quale sia quell’universo che si adatta meglio, in senso statistico, al nostro universo reale.
Martin Rees
Partiamo dalla materia che, così come la conosciamo oggi, non era presente nel Big Bang. Atomi e molecole non esistevano, solo particelle elementari in una sorta di spuma spazio-temporale. Le caratteristiche degli atomi e delle particelle subatomiche sembrano sintonizzate perché siano così come le conosciamo, rendendo possibile la formazione di atomi e molecole complesse.
Sappiamo che dal Big Bang si sono formati solo idrogeno e una più piccola quantità di elio. Gli atomi più pesanti, soprattutto quelli che ci interessano di più per il processo di formazione degli esseri viventi come carbonio e ossigeno, si sono formati come risultato delle reazioni termonucleari all’interno delle stelle e, quelli più pesanti del ferro, con l’esplosione delle supernove.
Per esempio, è importante che l’elettrone abbia una massa 1/1836 volte del protone e che il neutrone abbia un massa dello 0,14% in più del protone perché tutti i protoni, legati con gli elettroni per attrazione reciproca, non si trasformino in neutroni. Difficile pensare alla diversità in un Universo formato solo da neutroni.
Inoltre l’iterazione nucleare forte (una delle quattro forze fondamentali della fisica) ha un valore ben preciso che se fosse leggermente più debole non esisterebbero atomi più grandi dell’idrogeno e se fosse leggermente più forte i protoni si incollerebbero con troppa facilità.
Ma se passiamo dal micromondo a quello macro, dopo l’esplosione del Big Bang avremmo solo atomi di idrogeno e elio diffusi uniformemente nell’universo. Niente stelle, galassie e pianeti e, soprattutto, niente diversità. Nel 1964/5 è stata scoperta da Arno Penzias e Robert Wilson la radiazione di fondo, cioè un rumore di fondo di 3 gradi Kelvin registrato in tutte le direzioni in cui si potevano puntare gli strumenti di misurazione, valore interpretato come l’eco della nascita dell’Universo.
Questo valore Q è estremamente uniforme in tutto l’Universo, salvo che poi, con misurazioni ancora più precise, sono state misurate piccole irregolarità dell’ordine di 10ˉ⁵. Un numero estremamente piccolo, ma sufficiente perché gli atomi di idrogeno ed elio dell’Universo cominciassero ad aggregarsi, grazie alla forza di gravità e, una volta raggiunta la massa critica nei luoghi di aggregazione, cominciassero le reazioni termonucleari di fusione tipiche dell’interno delle stelle. Un numero leggermente più alto di Q, probabilmente avrebbe accelerato troppo queste aggregazioni dando vita ad un Universo troppo irregolare perché la materia avesse il tempo di evolversi in forme di vita e di intelligenza.
Altro fattore determinante di cui si è fatto cenno è la gravità, che ha un valore estremamente piccolo, cioè è 10³⁶ volte minore delle forze del micromondo. Se fosse solo leggermente maggiore le stelle avrebbero un ciclo di vita troppo breve, e non basta, un valore superiore della gravità influenzerebbe le dimensioni dei pianeti. Basterebbe una massa critica molto minore perché gli atomi di idrogeno diano luce alla reazione termonucleare che permette alle stelle di brillare emettere luce propria ed energia.
I pianeti, per non accendersi in stelle, dovrebbero essere troppo piccoli (nel nostro Universo la massa critica è di poco superiore a quella di Giove) e non si potrebbe pensare a forme di vita più grandi degli insetti.
Il Principio Antropico
L’elenco delle coincidenze potrebbe andare avanti a lungo, possiamo pensare che tutto ciò sia frutto del caso oppure congetturare qualcosa di diverso. Ci sono alcuni fisici (i primi furono Robert Dicke nel 1957 e Brandon Carter nel 1973) che non si sono accontentati di un’interpretazione casuale degli eventi e hanno avanzato delle ipotesi alternative conosciute come Principio Antropico, cioè una teoria speculativa che sostiene che tutte queste coincidenze siano legate al nostro ruolo di osservatori. Questo principio (o ragionamento per chi sostiene che principio sia un termine troppo forte, poco compatibile con il metodo scientifico) ha avuto due enunciazioni una debole e una forte.
Il Principio antropico debole che sostiene che siamo in una posizione privilegiata in quanto compatibile con la nostra natura di osservatori. Il Principio antropico forte afferma che l’Universo, con le leggi e i parametri che lo regolano, deve essere tale da permettere l’evoluzione di osservatori. In questa seconda accezione è chiara una visione finalistica di tale teoria e infatti è stata abbastanza contestata da chi considera che la scienza non dovrebbe cercare le cause profonde dei fenomeni.
Le varie enunciazioni del Principio Antropico hanno dato vita ad un ampio dibattito nella comunità scientifica che dura tuttora. Una possibile via d’uscita è stata ipotizzata, tra gli altri, dal fisico Martin Rees con la sua teoria del Multiverso, cioè il nostro Universo è parte di un insieme molto più vasto, forse infinito, di universi ciascuno con le sue leggi fisiche. Solo alcuni di essi hanno dato vita alla complessità e hanno sviluppato degli osservatori coscienti.
Naturalmente, al momento non abbiamo alcuna prova scientifica, e forse non la avremo mai, a sostegno di questa ipotesi così come non ne abbiamo a sostegno del Principio Antropico. Ma tutti questi parametri, questi valori, così precisi, che hanno dato vita al nostro Universo così come lo conosciamo e che, se fossero stati anche solo leggermente diversi, non saremo qui a discuterne con il nostro ruolo di osservatori, non possono che destare una sorta di meraviglia.
Ora qualcuno potrebbe obiettare che queste speculazioni non sono di nessuna utilità per affrontare i problemi concreti della quotidianità. Questo modo così pragmatico e riduttivo di approcciarsi alla realtà non risponde al nostro desiderio innato di trascendenza, che non deve essere pensato necessariamente in senso religioso.
Dare un senso a tutto ciò che ci circonda e al nostro ruolo nel mondo è una delle domande che ci caratterizza di più in quanto umani e rende la nostra esistenza più completa e gratificante. Forse si tratta di un illusione e tutto ciò che ci circonda, compresa la nostra esistenza, è il frutto del caso e non ha alcuna finalità, ma che differenza fa pensare che in fondo non sia così e il nostro ruolo nel mondo è importante o almeno ha un senso.